martedì 29 agosto 2017

Regina Coeli



Regina del cielo, rallegrati, alleluia.
Gesù, che tu hai portato nel seno, alleluia,
è risorto, come ha detto, alleluia.
prega per noi Dio, alleluia.

V. Rallegrati, Vergine Maria, alleluia.
R. Il Signore è veramente risorto, alleluia.

Preghiamo: O Dio, che nella gloriosa risurrezione del tuo Figlio hai ridato la gioia al mondo intero, per intercessione di Maria Vergine, concedi a noi di godere la gioia della vita senza fine. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Latino:

Regina coeli, laetare, alleluia.
Quia quem meruisti portare, alleluia.
Resurrexit, sicut dixit, alleluia.
Ora pro nobis Deum, alleluia.

V. Gaude et laetare, Virgo Maria, alleluia.
R. Quia surrexit Dominus vere, alleluia.

Oremus: Deus, qui per resurrectionem Filii tui Domini nostri Iesu Christi mundum laetificare dignatus es, praesta, quaesumus, ut per eius Genetricem Virginem Mariam perpetuae capiamus gaudia vitae. Per eundem Christum Dominum nostrum. Amen.


Da Wikipedia:

Nella liturgia cattolica l'antifona Regina Caeli o Regina Coeli (in latino: Regina del Cielo o Regina del Paradiso), è una delle quattro antifone mariane.
Questa gioiosa preghiera viene rivolta a Maria madre del Risorto e, dal 1742, viene tradizionalmente cantata o recitata nel tempo pasquale, cioè dalla domenica di Pasqua fino al giorno di Pentecoste in sostituzione dell'Angelus.
Le altre tre antifone mariane sono: la Salve Regina, l'Alma Redemptoris Mater e l'Ave Regina Coelorum. Esse vengono tradizionalmente cantate al termine della compieta, la preghiera della Liturgia delle Ore recitata al termine della giornata.

La sua composizione risale al X secolo, ma l'autore è sconosciuto.
La tradizione vuole che papa Gregorio Magno, una mattina di Pasqua in Roma, udì degli angeli cantare le prime tre righe del Regina coeli, alla quale aggiunse la quarta. Un'altra teoria afferma che l'autore sarebbe papa Gregorio V.
La melodia in uso risale al XII secolo, ma è stata semplificata nel XVII.

Dante, nel canto XXIII del Paradiso, descrive il coro dei diletti che si rivolgono alla Madonna con le parole del Regina coeli:

E come fantolin che 'nver' la mamma
tende le braccia, poi che 'l latte prese,
per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma;
ciascun di quei candori in su si stese
con la sua cima, sì che l'alto affetto
ch'elli avieno a Maria mi fu palese.
Indi rimaser lì nel mio cospetto,
"Regina celi" cantando sì dolce,
che mai da me non si partì 'l diletto.









lunedì 28 agosto 2017

Essenze e piante della Bibbia 1

Da Wikipedia:

Issopo:

L'issopo (Hyssopus), pronuncia issòpo, è un genere di circa 10-12 specie di piante semi-boscose nella famiglia Lamiaceae, native del Mar Mediterraneo orientale all'Asia centrale. Sono piante aromatiche, con i gambi ramificati eretti di lunghezza di fino a 60 centimetri coperti di capelli fini alle punte. Le foglie sono oblunghe e strette, di 2-5 centimetri di lunghezza. Un piccolo fiore azzurro cresce nella parte superiore dei rami durante l'estate. La specie di gran lunga più nota è l'erba d'issopo (H.officinalis), ampiamente coltivato fuori della propria zona natale nel Mediterraneo.

Ha un sapore di menta un po' amaro e può essere aggiunto alle minestre, alle insalate o alle carni, anche se dovrebbe essere usato con parsimonia poiché il sapore è molto forte. Entra nella composizione del liquore Chartreuse.

L'issopo è un ingrediente dell'acqua di Colonia.

Nell'Antico Testamento (Es 12,22), fu usata come pennello per segnare col sangue d'agnello le porte delle famiglie israelitiche che l'angelo distruttore doveva risparmiare in occasione dell'esodo dall'Egitto (la 1° Pasqua). Tradizionalmente la pianta d'issopo era usata in rametti riuniti come aspersorio e utilizzata nelle purificazioni. Nel Nuovo Testamento, (Giovanni 19,29) si dice che una spugna impregnata di aceto fu fissata su una canna di issopo e offerta da bere a Gesù in croce.

Mirra:

La mirra è una gommaresina aromatica, estratta da un albero o arbusto del genere Commiphora, della famiglia delle Burseraceae, può anche presentarsi in polvere.

Esistono oltre duecento specie di Commiphora, ripartite sulle rive del mar Rosso, in Senegal, in Madagascar e in India.

La specie più usata per la produzione della mirra è la Commiphora myrrha (diffusa in Somalia, Etiopia, Sudan, penisola arabica): alla fine dell'estate l'arbusto si copre di fiori e sul tronco compaiono una serie di noduli, dai quali cola la mirra, in piccole gocce gialle, che vengono raccolte una volta seccate.

Il termine viene dal latino murra o myrrha, quest'ultimo a sua volta derivato dal greco, che a sua volta lo ha preso dall'ebraico mor (מור) utilizzato nella Bibbia per indicare questa resina. La parola ebraica è collegata a una radice semitica mrr, con il significato di "amaro" - cfr. anche l'aramaico murr (ܡܪܝܪܐ) e l'arabo mur (مر).

La storia della mirra è parallela a quella dell'incenso: era già conosciuta nell'antico Egitto, dove costituiva uno dei componenti del kyphi ed era utilizzata nell'imbalsamazione.

Nella Bibbia è uno dei principali componenti dell'olio santo per le unzioni,[1] ma anche un profumo, citato sette volte nel Cantico dei Cantici. Nel Vangelo secondo Matteo è uno dei doni portati dai Re Magi al Bambino Gesù, e in quello di Marco (15:23) era stata mescolata a vino ed offerta a Gesù prima della crocifissione. Secondo la tradizione simboleggia l'unzione di Cristo, o l'espiazione dei peccati tramite la sofferenza e la morte corporale (la mirra era utilizzata anche per le imbalsamazioni).[2]

Nella Grecia antica la mirra era ampiamente utilizzata, fino a mescolarla con il vino e un episodio mitologico narra della sua origine, legandola a Mirra figlia del re di Cipro e madre di Adone. La mitologia classica ricorda poi la figura di Ati, il bellissimo semidio indiano dai capelli impomatati di mirra.

Incenso:

Incenso è il nome genericamente attribuito alle oleoresine secrete da diverse piante arbustive del genere Boswellia che crescono nelle regioni meridionali della Penisola Arabica e delle antistanti coste dell'Africa orientale, la più importante delle quali, appartenente al genere Boswellia, è la Boswellia sacra.

Una volta raccolte e cristallizzate, sono in grado di liberare nell'aria un forte e penetrante profumo al momento della loro combustione.

Fin dall'antichità, la forte domanda dei vari tipi di incenso e la loro elevata utilità marginale determinarono il sorgere di un importantissimo circuito commerciale in grado di determinare la nascita e il declino di numerose culture umane. L'incenso, nelle sue numerose varianti, è stato infatti usato tanto a scopi medicinali quanto a fini devozionali, sia nell'area del bacino del Mediterraneo, sia nelle regioni delle terre basse mesopotamiche, sia nell'altopiano iranico.

Le culture yemenite che dal II millennio a.C. in poi si sono succedute nell'organizzazione dei traffici legati a tali sostanze e nella loro commercializzazione, furono i regni di Saba, dei Minei, del Qataban, di Awsan e del Hadramawt. Non infrequentemente i regni etiopici, come quello di Axum, hanno invaso le aree sud-arabiche proprio per controllare in prima persona detta commercializzazione e avvantaggiarsene. Un'ipotesi ancor oggi ampiamente accreditata (malgrado alcune critiche più recenti) lega il sorgere economico e spirituale della cittadina higiazena di Mecca al traffico dell'incenso lungo la dorsale carovaniera araba (la via dell'incenso) che metteva in collegamento la regione yemenita di Najrān con le coste del Mediterraneo gravitanti sulla città palestinese di Ghaza.

L'uso liturgico dell'incenso è attestato fin dalle epoche più antiche in ordine al convincimento che agli dèi potessero essere graditi gli aromi non solo degli olocausti prodotti dalle carni delle vittime sacrificali ma anche di prodotti vegetali. Ancor oggi numerose religioni usano disporre stabilmente di questo prodotto per glorificare simbolicamente la divinità, mentre nei paesi arabi l'incenso conserva un ben preciso posto nella farmacopea popolare (ad esempio come espettorante, antisettico per mezzo di fumigazioni e inalazioni sfruttanti la gommoresina estratta dai rami e dalle foglie).

In Occidente, viene utilizzato l'olio aromatico estratto dalla resina gommosa. Nell'aromaterapia gli vengono attribuite proprietà rilassanti per la mente e per il corpo, oltre a quelle antisettiche, astringenti e antinfiammatorie. Viene consigliato nella cura dell'asma, del raffreddore, contro le rughe, l'ansia, la depressione.

Nel Vangelo secondo Matteo fu uno dei doni portati dai Re Magi al Bambino Gesù. Secondo la tradizione simboleggia la divinità di Cristo. Secondo la Bibbia l'offerta di incenso è un sacrificio di soave fragranza il cui buon odore giunge fino alle narici di Dio (Genesi 8, 21). L'alzarsi della nuvola d'incenso diventa simbolo della preghiera che si innalza fino a Dio (salmo 140, 2; Apocalisse di Giovanni 8, 3-5).

Attualmente il consumo di incenso è in forte contrazione; il periodo di più larga diffusione si ebbe negli anni '30 e '40 del secolo scorso. Una parte importante dell'incenso proveniva dalla Migiurtinia, territorio della Somalia Italiana e veniva commercializzato sul mercato di Aden.

venerdì 25 agosto 2017

Salmo 51 di pentimento

1 Al direttore del coro.
Salmo di Davide, quando il profeta Natan venne da lui, dopo che Davide era stato da Batsceba.
Abbi pietà di me, o Dio, per la tua bontà;
nella tua grande misericordia cancella i miei misfatti.

2 Lavami da tutte le mie iniquità
e purificami dal mio peccato;

3 poiché riconosco le mie colpe,
il mio peccato è sempre davanti a me.

4 Ho peccato contro te, contro te solo,
ho fatto ciò ch'è male agli occhi tuoi.
Perciò sei giusto quando parli,
e irreprensibile quando giudichi.

5 Ecco, io sono stato generato nell'iniquità,
mia madre mi ha concepito nel peccato.

6 Ma tu desideri che la verità risieda nell'intimo:
insegnami dunque la sapienza nel segreto del cuore.

7 Purificami con issopo, e sarò puro;
lavami, e sarò piú bianco della neve.

8 Fammi di nuovo udire canti di gioia e letizia,
ed esulteranno quelle ossa che hai spezzate.

9 Distogli lo sguardo dai miei peccati,
e cancella tutte le mie colpe.

10 O Dio, crea in me un cuore puro
e rinnova dentro di me uno spirito ben saldo.

11 Non respingermi dalla tua presenza
e non togliermi il tuo santo Spirito.

12 Rendimi la gioia della tua salvezza
e uno spirito volenteroso mi sostenga.

13 Insegnerò le tue vie ai colpevoli,
e i peccatori si convertiranno a te.

14 Liberami dal sangue versato, o Dio, Dio della mia salvezza,
e la mia lingua celebrerà la tua giustizia.

15 Signore, apri tu le mie labbra,
e la mia bocca proclamerà la tua lode.

16 Tu infatti non desideri sacrifici,
altrimenti li offrirei,
né gradisci olocausto.

17 Sacrificio gradito a Dio è uno spirito afflitto;
tu, Dio, non disprezzi un cuore abbattuto e umiliato.

18 Fà del bene a Sion, nella tua grazia;
edifica le mura di Gerusalemme.

19 Allora gradirai sacrifici di giustizia,
olocausti e vittime arse per intero;
allora si offriranno tori sul tuo altare.

mercoledì 23 agosto 2017

Golia, evidenza storica di un caso di macrosomia

Molti sostengono la falsità o comunque la non attendibilità della Bibbia utilizzando esempi dell'Antico Testamento che appaiono assurdi o inverosimili. Uno di questi è il caso del "gigante" dei Filistei Golia:

Da Wikipedia:

Golia (in ebraico: גָּלְיָת - Ğoliyāț che significa: passaggio, rivoluzione) è un soldato, viene definito un campione, dei Filistei menzionato nella Bibbia famoso per la sua battaglia con Davide, re giudeo, che sarebbe avvenuta alla prima metà del X secolo a.C.

Racconto biblico:

Il gigante Golia e la sua battaglia contro Davide vengono descritte nel primo libro di Samuele 17. Ecco come viene presentato questo guerriero che, a prima vista sembra invincibile:

« Dall'accampamento dei Filistei uscì un campione, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo. Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo. Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle. L'asta della sua lancia era come un subbio di tessitori e la lama dell'asta pesava seicento sicli di ferro; davanti a lui avanzava il suo scudiero. »   (1 Samuele 17,4-7)

Il racconto continua raccontando la sfida che Golia rivolge all'esercito di Saul. Nessuno degli ebrei osa accettarla eccetto il giovane Davide:

« Davide disse a Saul: Nessuno si perda d'animo a causa di costui. Il tuo servo andrà a combattere con questo Filisteo. »   (1 Samuele 17,32)
Infine il testo racconta come Davide lo abbatte con la fionda e con una pietra, e la decapitazione del suo cadavere:

« Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse prontamente al luogo del combattimento incontro al Filisteo. Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte. La pietra s'infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra. Così Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra e lo colpì e uccise, benché Davide non avesse spada. Davide fece un salto e fu sopra il Filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa. »   (1 Samuele 17,48-51)


Famiglia:

La Bibbia fa riferimento ad un fratello di Golia, tal certo Lacmi, ucciso da Elcanan figlio di Iair in un'altra guerra contro i Filistei (Primo libro delle Cronache, cap. 20 vers. 5). La tradizione ebraica dà a sua madre il nome di Harapa, identificandola con ‘Orapaḫ moglie di Kilyon del Libro di Rut.

Curiosità mediche:

Vladimir Berguiner, neurologo dell'Università Ben Gurion del Negev, dopo alcune ricerche ha dichiarato che Golia soffriva di acromegalia; questo spiegherebbe la sua statura da gigante e i problemi di vista, e la conseguente vittoria di Davide.
La grandezza smisurata del corpo di Golia rispetto a quella del futuro re Davide, secondo alcune ricerche recenti di neuroscienze, sarebbe stata regolata dalla secrezione dell'ormone della crescita da parte del lobo anteriore della ghiandola pituitaria. Talvolta, infatti, secondo quanto scrive la ricerca, «il lobo anteriore diventa ipertrofico e produce una quantità eccessiva di ormone, che provoca dimensioni eccessive del corpo ed una notevole altezza». L'ipertrofia pituitaria provoca anche dei problemi nella visione normale. Secondo tale ricerca, pertanto, non solo si può affermare che Golia fosse così alto per una disfunzione ormonale, ma si può anche «ipotizzare che Davide riuscì ad atterrare Golia perché, quando raggiunse la linea di battaglia, il gigante non era più in grado di vederlo» (da Mark F. Bear, Barry W. Connors e Michael A. Paradiso, Neuroscienze, a cura di Clara Casco, Laura Petrosini e Massimiliano Oliveri, 3ª ed., Milano, Masson Elsevier, 2010, p. 322)

Dimensioni:

« Dall'accampamento dei Filistei uscì un campione, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo. »   (1 Samuele 17,4)
La Bibbia narra l'altezza di golia in 6 cubiti e un palmo, tenendo presente che un cubito ebraico equivale a 44,5 cm, e un palmo, o spanna, di circa 22,2 cm, il gigante biblico doveva essere alto circa 289,2 cm (44,5x6+22,2=289,2), circa 17,2 cm più alto di Robert Wadlow. Secondo Flavio Giuseppe Golia era alto solo 4 cubiti greci e un palmo (208 cm).

« Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo. »   (1 Samuele 17,5)

Il peso della corazza di Golia era di 5,000 sicli: considerando che un siclo pesava tra i 10 e i 13 grammi, il peso della corazza era all'incirca tra i 50kg e i 65kg.


Discussione:

Se teniamo conto delle possibili esagerazioni fatte dal biblista per dar maggior enfasi al testo, e se teniamo conto di quanto scritto sopra (curiosità mediche e testimonianza di Giuseppe Flavio), si può ragionevolmente ipotizzare che le dimensioni di Golia non fossero impossibili per l'epoca.

A riprova di quanto detto vale la pena di citare il testo del 21 agosto 2017 tratto dalla rivista Focus:

Macrosomia: il più antico caso di gigantismo umano proporzionato
I resti di Sa-Nakht, faraone della III dinastia, mostrano segni di macrosomia, ossia di gigantismo proporzionato: è forse la prima apparizione in assoluto di questa malattia.

I resti di colui che si presume essere stato Sa-Nakht, faraone dell'antico Egitto morto attorno al 2.700 a.C., conservano il più antico caso di gigantismo umano, secondo lo studio condotto da un team di ricercatori dell’Università di Zurigo (Svizzera), in collaborazione con colleghi australiani e olandesi, pubblicato su The Lancet.
 
Molti miti nascono attorno alla figura del gigante. Leggende epiche come quelle dei giganti norvegesi sono però probabilmente ispirate a una vera patologia: la macrosomia, una forma di gigantismo. Si tratta di una disfunzione abbastanza rara che si risolve attorno al ventesimo anno di età: provoca una crescita esagerata del corpo, fino al 15-20% in più rispetto a una persona normale ma corretta nelle proporzioni (a differenza dell'acromegalia, dove le proporzioni non sono rispettate), dovuta all'eccessiva produzione dell'ormone della crescita (somatotropina).
 
SUA ALTEZZA. Di Sa-Nakht si conosce poco: non è noto con esattezza quando ha regnato né quali erano i confini del regno. Non se ne conosceva il luogo di sepoltura fino ai primi del Novecento, quando un gruppo di archeologi trovò, nel sud del Paese, i resti di colui che successivamente è stato identificato come Sa-Nakht.

Sa-Nakht doveva essere alto 187 centimetri, davvero molto per un uomo di quell'epoca: «Gli studi sulle mummie egizie hanno mostrato che l'altezza media degli uomini di alto rango, in quell'epoca, era di circa 170 centimetri», afferma Michael Habicht, egittologo dell'Istituto di Medicina Evoluzionistica dell'Università di Zurigo e coautore della ricerca.
 
I re egiziani potevano però godere di una migliore alimentazione e quindi di salute migliore rispetto alla popolazione e agli stessi cortigiani: questo può avere influito sulla loro crescita fisica. È probabilmente il caso di Ramesses II (Ramsete), vissuto più di 1.000 anni dopo Sa-Nakht, che era poco più alto della media, 175 centimetri.

«Molte persone di bassa statura facevano però parte della corte reale», commenta Habicht. «Le ragioni di questa preferenza non sono note. I presunti resti di Sa-Nakht sono tuttavia stati trovati in una "tomba d'elite" e questo fa pensare che non ci sarebbero comunque stati pregiudizi sociali verso i casi di gigantismo.»
 
LA PRIMA VOLTA DEI GIGANTI. L'analisi delle ossa di Sa-Nakht hanno mostrato tracce di crescita esuberante, ossia chiari segni di gigantismo. È una scoperta importante, perché è finora «il più antico caso noto di questo disordine della crescita», affermano i ricercatori: nessun altro reperto contemporaneo o precedente ai resti di quest'uomo ha rivelato segni di macrosomia.

mercoledì 16 agosto 2017

Salmo 65 di lode e ringraziamento

1 Al maestro del coro. Canto. Salmo.
Acclamate a Dio da tutta la terra,

2 cantate alla gloria del suo nome,
date a lui splendida lode.

3 Dite a Dio: «Stupende sono le tue opere!
Per la grandezza della tua potenza
a te si piegano i tuoi nemici.

4 A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».

5 Venite e vedete le opere di Dio,
mirabile nel suo agire sugli uomini.

6 Egli cambiò il mare in terra ferma,
passarono a piedi il fiume;
per questo in lui esultiamo di gioia.

7 Con la sua forza domina in eterno,
il suo occhio scruta le nazioni;
i ribelli non rialzino la fronte.

8 Benedite, popoli, il nostro Dio,
fate risuonare la sua lode;

9 è lui che salvò la nostra vita
e non lasciò vacillare i nostri passi.

10 Dio, tu ci hai messi alla prova;
ci hai passati al crogiuolo, come l'argento.

11 Ci hai fatti cadere in un agguato,
hai messo un peso ai nostri fianchi.

12 Hai fatto cavalcare uomini sulle nostre teste;
ci hai fatto passare per il fuoco e l'acqua,
ma poi ci hai dato sollievo.

13 Entrerò nella tua casa con olocausti,
a te scioglierò i miei voti,

14 i voti pronunziati dalle mie labbra,
promessi nel momento dell'angoscia.

15 Ti offrirò pingui olocausti
con fragranza di montoni,
immolerò a te buoi e capri.

16 Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.

17 A lui ho rivolto il mio grido,
la mia lingua cantò la sua lode.

18 Se nel mio cuore avessi cercato il male,
il Signore non mi avrebbe ascoltato.

19 Ma Dio ha ascoltato,
si è fatto attento alla voce della mia preghiera.

20 Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.

giovedì 10 agosto 2017

Il Paradiso

Da Wikipedia:

Il termine paradiso possiede due significati: il primo indica, nella tradizione biblica, quel luogo primordiale dove Dio collocò l'uomo appena creato (Genesi, 2); il secondo indica, nell'ambito delle teologie fondate sull'interpretazione dei testi biblici, quel luogo, celeste o terrestre, dove verranno destinati gli uomini da Dio giudicati come "giusti". Nel significato traslato della seconda accezione, con il termine "paradiso" si rendono termini di altre lingue, e di altre religioni, che indicano analoghe credenze in un luogo felice, post-mortem, riservato a coloro che hanno condotto una vita da "giusti".


Origine del termine "paradiso"

Il termine italiano "paradiso" (così come l'inglese paradise, il francese paradis, il tedesco paradies e lo spagnolo paraíso) viene dal latino ecclesiastico paradīsus, a sua volta adattamento dal greco biblico παράδεισος (parádeisos), nell'intenzione di rendere il termine ebraico גן (gan, "giardino") ovvero "giardino [dell'Eden]".

Il termine greco antico παράδεισος deriverebbe dal ricostruito medio iranico, *pardēz, mentre è correlato all'attestato antico iranico, precisamente avestico, pairidaēza, dove tuttavia non possiede alcun significato religioso, indicando il "recinto", derivando in quella lingua da pairidaēz (murare intorno, circondare con mura), quindi da paìri (intorno) + daēz (accumulare). All'avestico pairidaēza sono correlati i ricostruiti antico persiano *paridaida e il medo *paridaiza.

l termine di ambito iranico pairidaēza/*paridaida, partendo dall'originario significato di "recinto", "luogo recintato", indica quindi quei giardini, o meglio parchi, privati e cintati, propri dei sovrani dell'Impero achemenide, i quali ne ereditarono l'uso dagli Assiri[4]. Tali pairidaēza consistevano in una parte coltivata a giardino e in un'altra lasciata selvaggia, riserva di caccia per i re.

Nei testi in lingua greco antica è attestata l'esistenza di tali "giardini" persiani (il testimone più antico è in Wilhelm Dittenberge, Sylloge Inscriptionum Graecarum, 2), mentre la loro prima descrizione è in Senofonte (430/425-355 a.C.) Economico (IV, 20 e sgg.), presente in altre opere dello stesso autore (cfr. ad esempio Anabasi, I, 2,7).

Il termine, di origine iranica, entra nelle lingue semitiche con l'accadico pardēsu già col significato di "giardino", "parco"[8]; mentre il suo diretto corrispondente in ebraico lo si riscontra invece nella bibbia in lingua ebraica, ad esempio con il termine פרדס (pardês), per sole tre volte: Neemia, 2,8; Qoèlet, 2,5; Cantico dei Cantici, 4,13, avente qui, tuttavia, il significato di "frutteto", o "bosco"; successivamente il termine verrà utilizzato anche nella letteratura rabbinica (cfr., ad esempio, nel Talmud, Ḥagigah 14b, dove tuttavia già acquisisce implicitamente il significato di "luogo di beatitudine celestiale").

Il mito sumerico di Dilmun, il "paradiso" come luogo primordiale

La prima attestazione del mito del "paradiso terrestre è inserita nel racconto in lingua sumerica, datato al II millennio a.C., conosciuto con il titolo di Enki e Ninḫursaĝa. Qui sopra la riproduzione della seconda linea della tavola: La terra di Dilmun è pura.

La credenza in un primordiale luogo paradisiaco attiene, originariamente, alla letteratura religiosa in lingua sumerica, segnatamente al testo in 284 versi, indicato sotto il nome di Enki e Ninḫursaĝa (inizi II millennio a.C.), la quale individuava nel Dilmun quel posto privo di sofferenze, di privazioni e di affanni.

La nozione iranica del garō.dəmāma (Casa del canto): il "paradiso" come luogo, post mortem, riservato ai giusti

La credenza in un "giudizio dei morti", e quindi in un luogo di felicità riservato a coloro che in vita scelsero il "bene" piuttosto che il "male", risulterebbe presente nelle parti più antiche del libro sacro della religione mazdeista (conosciuta anche come "zoroastrismo"), l'Avestā, influenzando profondamente le successive credenze proprie dell'ebraismo, del cristianesimo, del manicheismo e dell'islām .

Tali parti antiche, indicate con il termine gāθā, sono infatti, per la maggior parte degli studiosi, attribuibili direttamente al profeta iranico Zarathuštra, vissuto, secondo le ipotesi più recenti attestate da una verifica filologica e archeologica, plausibilmente nell'Età del Bronzo, tra il XVIII e il XV secolo a.C. in Asia Centrale.

Il termine più frequente per indicare questo "paradiso" dei giusti è in lingua avestica garō.dəmāma (antico avestico; in avestico recente garō.nmāna) lett. "Casa del canto".


La visione religiosa propria dell'insegnamento del profeta iranico Zarathuštra consiste nella credenza in un dio unico, Ahura Mazdā, creatore di ogni cosa. A questo Dio si oppone Angra Mainyu, spirito inizialmente da lui creato, insieme ad altri "spiriti", come votato al bene, ma a lui ribelle, acquisendo per questo la natura di "spirito del male". Questa opposizione cosmica tra Bene e Male riguarda sia il mondo sovrasensibile, in quanto agli spiriti del "bene", gli Ameša Spenta, si oppongono quegli spiriti del "male", i Daēva, che hanno seguito nella ribellione Angra Mainyu, ma anche l'uomo chiamato nella sua vita a scegliere tra il "bene" e il "male".

La scelta dell'uomo verrà quindi o premiata o punita da Ahura Mazdā quando, alla fine dei tempi, sconfiggerà definitivamente Angra Mainyu e le schiere demoniache a lui fedeli.

Inoltre, secondo alcuni studiosi, in tale contesto arcaico di dottrine religiose vi è anche un'esplicita dottrina inerente alla resurrezione dei corpi.

Le nozioni di "paradiso" nell'ebraismo biblico, del Secondo Tempio e rabbinico

« ח ויטע יהוה אלהים גן בעדן--מקדם וישם שם את האדם אשר יצר ט ויצמח יהוה אלהים מן האדמה כל עץ נחמד למראה וטוב למאכל--ועץ החיים בתוך הגן ועץ הדעת טוב ורע י ונהר יצא מעדן להשקות את הגן ומשם יפרד והיה לארבעה ראשים יא שם האחד פישון--הוא הסבב את כל ארץ החוילה אשר שם הזהב יב וזהב הארץ ההוא טוב שם הבדלח ואבן השהם יג ושם הנהר השני גיחון--הוא הסובב את כל ארץ כוש יד ושם הנהר השלישי חדקל הוא ההלך קדמת אשור והנהר הרביעי הוא פרת טו ויקח יהוה אלהים את האדם וינחהו בגן עדן לעבדה ולשמרה »

« Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la regione di Avìla, dove si trova l'oro e l'oro di quella regione è fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d'ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutta la regione d'Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l'Eufrate. Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. »

In questo passo di Genesi (libro in lingua ebraica che si ritiene composto intorno al VI secolo a.C.) troviamo dunque l'espressione גן־בעדן (gan bə‘êḏen, "giardino in Eden"), quindi il nome del "paradiso terrestre" in cui ai primordi della storia dell'uomo, il dio suo creatore collocò il primo uomo "Adamo". Altri passi della Bibbia si riferiscono a questo stesso "paradiso terrestre" con altri nomi:

- כגן־יהוה: kə-ḡan- YHWH, "come il giardino di YHWH" (come il giardino di Dio), in Genesi 13,10;
- בעדן גן־אלהים: bə-‘ê-ḏen gan-'ĕ-lō-hîm, "in Eden giardino di Elohim" (in Eden il giardino di Dio), in Ezechiele 28,13.

In questo giardino si consuma quel mito biblico in cui Adamo, convinto da Eva, a sua volta sedotta dal "serpente" (הנחש, nâchâsh) mangia il frutto "dell'albero della conoscenza del bene e del male" ( ועץ הדעת טוב ורע, wə-‘êṣ had-da-‘aṯ ṭō-wḇ wā-rā‘) e per questo verrà cacciato da Dio insieme alla compagna dal giardino di Eden affinché non mangiassero anche il frutto dell'"albero della vita" (ועץ החיים, wə-‘êṣ ha-ḥay-yîm) divenendo così immortali (Genesi 3). Il che potrebbe significare che mangiando dell'"albero della conoscenza del bene e del male", la coppia umana avrebbe potuto identificare l'"albero della vita", altrimenti nascosto, e questo spiegherebbe anche la ragione per cui il serpente, anche lui interessato all'immortalità, avrebbe convinto Eva a violare il comando divino.

L'origine del significato del nome ebraico Eden è sconosciuto, fino a qualche decennio fa lo si riteneva eredità diretta del termine accadico edinu, a sua volta resa del sumerico edin, col significato di "piana", "steppa". Tuttavia la scoperta nel 1979, a Tell Fekheriyeh (al confine tra la Turchia e la Siria), di una iscrizione bilingue accadico-antico aramaico risalente al IX secolo a.C. ne confermerebbe il collegamento alla radice del semitico occidentale *dn (lussureggiante, gradevole), quindi col significato di "delizioso", "[giardino] delle delizie".

Se è evidente il debito biblico nei confronti del racconto sumerico, e di analoghi in contesto mesopotamico, nella Bibbia tale ambito di "paradiso terrestre" supporta un racconto dagli evidenti contenuti morali.

Le nozioni di "caduta" e di "peccato originale" dell'uomo, derivati dalla violazione del divieto divino di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, non attengono originariamente alle esegesi ebraiche ma solo a quelle di derivazione cristiana, entrando tardivamente nell'ebraismo grazie alla letteratura cabalistica medievale.

Come vedremo meglio più avanti, la letteratura rabbinica medievale distinguerà due Eden, quello "terrestre", luogo della coppia umana primordiale, e quello "celeste", luogo di beatitudine per le anime giudicate da Dio come "giuste".

Le dottrine ebraiche inerenti all'aldilà

« Nell'Ebraismo il concetto di al di là prese forma gradualmente e non fu mai espresso in una forma dogmatica o sistematica. L'idea ebraica di aldilà si è concentrata sulla credenza nella resurrezione della carne o nell'immortalità dell'anima. Sebbene queste concezioni siano state presenti, separatamente o insieme, in ogni epoca della storia ebraica, si può affermare con sicurezza che trovarono il loro maggiore sviluppo durante il periodo rabbinico medievale. »
(David Stern, Enciclopedia delle religioni vol.6, Milano, Jaca Book, (1987) 1993 p.17)

Nel testo biblico vi sono due indirizzi per il destino dei defunti: da una parte quello di tornare polvere in quanto si era polvere (Genesi, 2,7; 3,19), oppure a seguito della punizione divina dopo il "peccato" dei progenitori dell'umanità (Genesi, 3, 22-24), ma in altri passi biblici (ad esempio: Isaia, 14, 9-12; Ezechiele, 32,17-32) il destino degli uomini è quello di scendere nello אול (she'ol, gli "inferi"), luogo da cui non si risale. Tale luogo viene indicato anche con il termine ... ארץ חשך (ʾereẓ ḥōšeḵ) col significato di "terra di tenebra".


« כלה ענן וילך כן יורד אול לא יעלה »

« Una nube svanisce e se ne va, così chi scende agli inferi più non risale; »
(Libro di Giobbe, 7,9.)

Tali termini e nozioni sono strettamente correlati alla cultura religiosa mesopotamica.

Ma al Dio della Bibbia è riservato il potere di resuscitare chi è morto:

« יהוה ממית ומחיה מוריד שאול ויעל »

« Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire. »
(I Samuele, 2,6)

Tuttavia ci sono due eccezioni bibliche di uomini che non sono scesi nello she'ol per sempre: Enoch (Genesi, 5,24) ed Elijah (II Re 2,11); la loro condizione è analoga alla narrazione soprariportata del sumerico Ziusudra (il Noè sumerico, in ulteriore letteratura in lingua accadica, come il Poema di Atraḫasis o nell' Epopea di Gilgameš, conosciuto anche come Atraḫasis o Utanapištim).

Il più antico testo biblico che tratta della resurrezione dei morti è in Daniele 12,1-2, opera apocalittica risalente al II secolo a.C. redatta durante le persecuzioni di Antioco IV:


« א ובעת ההיא יעמד מיכאל השר הגדול העמד על בני עמך והיתה עת צרה אשר לא נהיתה מהיות גוי עד העת ההיא ובעת ההיא ימלט עמך כל הנמצא כתוב בספר ב ורבים מישני אדמת עפר יקיצו אלה לחיי עולם ואלה לחרפות לדראון עולם ס »

« Ora, in quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Sarà un tempo di angoscia, come non c'era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna. »
(Daniele, 12,1-2)

Tale nozione di "resurrezione" non riguarda, tuttavia, l'intero genere umano, ma solo agli appartenenti al popolo di Israele, più precisamente allo scopo di sostenere il valore del martirio e quindi della sua ricompensa (o punizione per i nemici).

Questa idea di "resurrezione" va tuttavia distinta dall'idea di "immortalità" dell'anima che invece entra nell'ebraismo della Diaspora da analoghe nozioni proprie della cultura greco-romana.

Tale idea di immortalità dell'anima la si riscontra, ad esempio, nel libro giunto a noi in lingua greca, La sapienza di Salomone (II-I secolo a.C.; testo non accolto nella Bibbia in lingua ebraica, la cui canonizzazione risale al Medioevo):

« 1 δικαίων δὲ ψυχαὶ ἐν χειρὶ θεοῦ καὶ οὐ μὴ ἅψηται αὐτῶν βάσανος2 ἔδοξαν ἐν ὀφθαλμοῖς ἀφρόνων τεθνάναι καὶ ἐλογίσθη κάκωσις ἡἔξοδος αὐτῶν 3 καὶ ἡ Ἀφ᾿ ἡμῶν πορεία σύντριμμα οἱ δέ εἰσιν ἐνεἰρήνῃ 4 καὶ γὰρ ἐν ὄψει ἀνθρώπων ἐὰν κολασθῶσιν ἡ ἐλπὶς αὐτῶνἀθανασίας πλήρης 5 καὶ ὀλίγα παιδευθέντες μεγάλα εὐεργετηθήσονταιὅτι ὁ θεὸς ἐπείρασεν αὐτοὺς καὶ εὗρεν αὐτοὺς ἀξίους ἑαυτοῦ 6 ὡςχρυσὸν ἐν χωνευτηρίῳ ἐδοκίμασεν αὐτοὺς καὶ ὡς ὁλοκάρπωμα θυσίαςπροσεδέξατο αὐτούς 7 καὶ ἐν καιρῷ ἐπισκοπῆς αὐτῶν ἀναλάμψουσινκαὶ ὡς σπινθῆρες ἐν καλάμῃ διαδραμοῦνται 8 κρινοῦσιν ἔθνη καὶκρατήσουσιν λαῶν καὶ βασιλεύσει αὐτῶν κύριος εἰς τοὺς αἰῶνας 9 οἱπεποιθότες ἐπ᾿ αὐτῷ συνήσουσιν ἀλήθειαν καὶ οἱ πιστοὶ ἐν ἀγάπῃπροσμενοῦσιν αὐτῷ ὅτι χάρις καὶ ἔλεος τοῖς ἐκλεκτοῖς αὐτοῦ 10 οἱ δὲἀσεβεῖς καθὰ ἐλογίσαντο ἕξουσιν ἐπιτιμίαν οἱ ἀμελήσαντες τοῦδικαίου καὶ τοῦ κυρίου ἀποστάντες »
(
« 1. Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. 2. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, 3. la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. 4. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza resta piena d'immortalità. 5. In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; 6. li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come l'offerta di un olocausto. 7. Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là. 8. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro. 9. Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità, i fedeli nell'amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti. La sorte degli empi 10. Ma gli empi riceveranno una pena conforme ai loro pensieri; non hanno avuto cura del giusto e si sono allontanati dal Signore. »
(La sapienza di Salomone, 3, 1-10)

Anche nelle opere del filosofo platonico ebreo di lingua greca, Filone di Alessandria (I sec. a.C.-I sec. d.C.), si presenta questa nozione di "anima immortale", opere, tuttavia, che non influenzarono il successivo ebraismo rabbinico.

« Infatti, come ora, finché siamo vivi, l'anima nostra è seppellita, per così dire, nel sepolcro del corpo, così,se moriamo, l'anima vive la vita che le è propria, perché si è sciolta dal legame del corpo: un cadavere <che è fonte> di male. »
(Filone di Alessandria, Allegoria delle Leggi, I, 108; traduzione di Roberto Radice, in Filone di Alessandria, Tutti i trattati del Commentario allegorico della Bibbia. Milano, Bompiani, 2011, p. 155)

Va dunque precisato che l'idea di "immortalità dell'anima" di derivazione greca implica un dualismo tra anima e corpo, quest'ultimo inteso come "prigione" peritura dell'anima da cui questa si deve liberare definitivamente; mentre l'idea di "resurrezione" intende congiungere l'anima e il corpo in una nuova vita maggiormente compiuta.

Per quanto l'argomento non sia stato frequentemente affrontato nella letteratura rabbinica, il tema dell'aldilà trova comunque una posizione ben chiara nella seguente affermazione contenuta nella Mishnah:

« מתני' כל ישראל יש להם חלק לעולם הבא »

« Tutto Israele ha un posto nel mondo a venire »
(Sanhedrin, dal Talmud Babilonese, 11,1)

a cui segue la spiegazione che tale "mondo a venire" è precluso a coloro che negano la "resurrezione dei morti".

Successivamente in questo modo precisata nel XII secolo dal filosofo e rabbino Maimonide:

« חסידי אומות העולם יש להם חלק לעולם הבא »

« I giusti di tutte le nazioni hanno un posto nel mondo a venire »
(Maimonide, Mishneh Torah, Teshuvah 3 Halacha 5)

« La dottrina rabbinica riguardante ricompensa e castigo nell'altro mondo ha le sue radici nella convinzione che anima e corpo si ricongiungeranno prima del giudizio finale. Sebbene il pensiero rabbinico fosse influenzato in ultima analisi dalle concezioni greco-romane di una esistenza dell'anima come entità separata, e sebbene vi siano alcune opinioni rabbiniche che attestino la credenza nell'immortalità dell'anima indipendentemente dalla nozione di resurrezione della carne. L'importanza assoluta che quest'ultima questione di fede ha rivestito per i rabbini è testimoniata dai notevoli sforzi di esegesi che essi hanno affrontato per trovare fonti che la riguardassero nella Torah [(...)] e nei frequenti riferimenti alla resurrezione presenti nei targunim. »
(David Stern, Op. cit.)


Nel cristianesimo

Paradiso nel cristianesimo è uno dei due stati (Inferno e Paradiso, il cattolicesimo ha introdotto nel Medioevo anche i dogmi relativi al Purgatorio) in cui vive l'uomo dopo la morte. Il Paradiso dopo la morte è l'unione definitiva tra Dio e l'Uomo, come viene simbolicamente visto nella Bibbia (Cantico dei cantici, Apocalisse) ed è la più profonda delle aspirazioni dell'uomo, conducendolo definitivamente alla felicità (v. I Corinzi, XIII, 12; I Giovanni, III, 2).

Nei libri dei Maccabei, libri deuterocanonici non inclusi nel canone ebraico e nei canoni protestanti, si esprime la certezza della risurrezione dei morti e della vita eterna. Eppure Qoelet (Ecclesiaste) 3,19-20 afferma:

« 19.Infatti la sorte degli uomini è la stessa che quella degli animali: come muoiono questi così muoiono quelli. Gli uni e gli altri hanno uno stesso soffio vitale, senza che l'uomo abbia nulla in più rispetto all'animale. Gli uni e gli altri sono vento vano.20.Gli uni e gli altri vanno verso lo stesso luogo: gli uni e gli altri vengono dalla polvere, gli uni e gli altri tornano alla polvere. »

Nella Bibbia la parola "Paradiso" compare in tre brani del Nuovo Testamento:

- (Vangelo di Luca 23:43) Quando uno dei malfattori crocifissi a destra e a sinistra di Gesù sgrida il suo compagno, il quale stava schernendo Gesù; in tale episodio il malfattore, resosi conto di essere giustamente condannato per le proprie opere malvagie, si rivolge a Gesù chiamandolo Signore, chiedendogli di ricordarsi di lui quando sarebbe venuto nel Suo regno. Gesù risponde allora affermando che il malfattore sarebbe stato con lui quel giorno stesso in Paradiso. Il malfattore, condannato dalla giustizia degli uomini, viene dunque assolto dalla condanna del peccato per mezzo della fede in Gesù Cristo. La via al Paradiso, il giardino di Eden, che la disubbidienza di Adamo ed Eva aveva reso inaccessibile all'uomo, viene riaperta da Colui che è la Via, la Verità e la Vita: Gesù Cristo

- (Seconda Lettera ai Corinzi 12:1-4) L'Apostolo Paolo riferisce indirettamente di una propria esperienza soprannaturale, nel quale egli, definendosi "un uomo in Cristo", riferisce di essere stato rapito fino al Terzo Cielo, in Paradiso, e di aver udito parole ineffabili, che non è lecito ad alcun uomo di proferire; tale brano colloca dunque il Paradiso in cielo - e non in terra o altrove, in un luogo accessibile solo a coloro che sono "in Cristo", ossia tutti coloro che come il malfattore in croce, riconoscono il proprio peccato davanti a Dio e ripongono in Gesù Cristo la loro fede e la loro speranza. Secondo la Parola di Dio non vi è dunque alcuno strumento "scientifico" o filosofico che possa rendere visibile ed accessibile il Paradiso all'uomo, ma solo la fede in Gesù Cristo.

- (Apocalisse 2:7) Gesù Cristo stesso riferisce nella lettera indirizzata alla chiesa di Efeso, che egli trasmette all'Apostolo Giovanni per mezzo di un angelo (Apocalisse 1:1), che Egli darà da mangiare dell'albero della vita, che è in mezzo al Paradiso di Dio, a colui che vince. Ciò mostra che l'albero della vita, di cui si era persa traccia dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino di Eden, non è scomparso, ma si trova ora nel Paradiso di Dio, che Paolo riferisce essere al Terzo Cielo, dunque non in terra. La vittoria di cui parla Gesù è quella di cui parla la Lettera ai Romani 8:37, la quale si ha in virtù della fede in Gesù Cristo, Colui che ha portato sulla croce il peccato di tutta l'umanità affinché per mezzo della fede in Lui l'uomo possa essere salvato dalla giustizia divina, diventare Figlio di Dio, ed accedere al Paradiso che il peccato ha reso inaccessibile.

Le dottrine protestanti contestano la convinzione di altre correnti cristiane secondo cui il Paradiso è accessibile mediante le buone opere compiute sulla terra, attribuendo dunque all'uomo la possibilità di scampare al giudizio divino mediante i propri meriti e la propria giustizia. Tali dottrine si rifanno ai seguenti passi:

- (Lettera agli Efesini 2:8) "Voi infatti siete stati salvati per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio"
- (Lettera ai Romani 5:1) "Giustificati dunque per fede, abbiamo pace presso Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore,"



lunedì 7 agosto 2017

Numerologia nella Bibbia - parte 1

L’ Uno

L’unicità è propria di Dio e può esprimersi col numerale “uno/unico”  Mc 10:18; 12:29.32, Mt 23:9,  Lc 5:21.  “L’uno” indica in Gv l’unità che lo Spirito crea tra il Padre e Gesù (Gv 10:30), che deve integrare anche i discepoli (Gv 17:21-23, Gv 5:44; 17:3).

Il Due

Il due può essere simbolo della comunicazione di vita. Os 6:2. Si applica nel NT con la permanenza di Gesù con i samaritani (Gv 4:40-43) ai quali comunica lo Spirito (Gv 4:14). 
Lascia invece passare due giorni senza recarsi la dove Lazzaro era malato (Gv 11:6).

Il Tre

Nell’AT il numero tre allude alla divinità. Gen 18:2. Is 6:3 (cf. Ap 4:8) il tre volte santo.

Ma il tre indica soprattutto il completo e il definitivo.
Mt 4:1-11 Lc 4:1-13 Mc 14:30 tre tentazioni (= tutte) del demoniaco a Gesù .
Gv 21:15-17 Pietro : tripla professione d’amicizia/amore fraterno per Gesù.
Mc 8:2 le folle pagane danno totale adesione a Gesù ( stanno 3 giorni ad ascoltarlo) : hanno ricevuto da lui la vita che supera la morte. Mc 8:31 ( dopo tre giorni, risorgere) lasso di tempo, la vittoria immediata della vita sulla morte.

Il Quattro e i suoi multipli

Nel mondo classico: Deriva dai 4 punti cardinali, dalle 4 direzione del vento, dalle 4 stagioni e dalle costellazione corrispondenti: Toro, Leone, Scorpione e Acquario (mitologia babilonese sono figure che sostengono il firmamento ai suoi 4 angoli). Allora, simboleggia la totalità della terra e dell’universo. Ez 37:9; Zc 6:5; Dn 8:8; Gen 2:10; Ger 49:36

Il 40 indica una totalità limitata (una generazione o l’età d’una persona).
Gen 25:20 età d’una persona. Gen 7:4 lunghi periodi di sofferenza.
Es 16: 35 durata di fasi successive del piano salvatore di Dio.
400 anni equivalgono a 10 generazioni Gen 15:13

Nel NT ci sono tutte queste totalità: Mc 2:3 un paralitico, sorretto da quattro persone = unità pagana che vive nel mondo ; Gv 19:23 mantello di Gesù (I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti); Mc 1:13; Mt 4:2; Lc 4:2 Gesù sta nel deserto 40 giorni, in parallelo con i 40 anni dell’esodo d’Israele, i 40 giorni (= 1 generazione ) rappresentano il tempo dell’esodo di Gesù, cioè la sua vita pubblica. At 1:3 Dopo la risurrezione Gesù rimane con i discepoli per 40 giorni, indica il tempo nel quale devono superare la prova.
4000 persone -multiplo di 4 che indica che l’esodo liberatore significato dalla distribuzione del pane è destinato a tutta l’umanità. Mc 8:9.20

Il Cinque e i suoi multipli

Nel AT i gruppi di profeti sono composti di “50 uomini adulti” 1 Re 18:4; 18:13; 2 Re 2:7
Negli Atti lo Spirito scende sui discepoli di Gerusalemme il giorno 50 (significato della parola Pentecoste). At 2:1-4
5 sono i pani distribuiti da Gesù, Mc 6:38 e li ricevono 5.000 “uomini adulti” (uomini adulti = denominazione figurata per indicare la pienezza umana prodotto dallo Spirito). Mc 6:44 Il pane esprime l’amore di Dio creatore. Il pane è la vita, dono continuo di Dio e che non finisce.

Il Sei: l’incompleto,l'inefficace, il debole, lo sconfitto..

Qualche volta l’incompleto equivale all’inefficace. Gv 2:6 (sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei,) la purificazione religiosa giudaica non ristabiliva la relazione con Dio.
L’incompleto è quello che precede, attende e annuncia il completo.
Mt 27:45 L’ora sesta (mezzogiorno) descrive il dono di sé, di Gesù nel suo aspetto di morte (Gv 19:34), che però culminerà nella risurrezione.
Gv 12:1 Il sesto giorno è quello dell’attività di Gesù, che termina nella morte di Gesù e la realizzazione del progetto di Dio (Gv 19:30). Gv 19:28-31 Le sei feste che appaiono in Gv (2:13; 5:1; 6:4; 7:1;

Il Sette: completezza, totalità definitiva

L’AT adotta molti dei significati simbolici, è il numero della completezza, della totalità determinata o definitiva. da qui il sabato che indica il riposo che fa seguito alla creazione conclusa.
Le feste che duravano sette giorni (Lv 23:34). 
La purificazione completa si effettuava con sette aspersioni di sangue (Lv 16:19).
Dio vede tutto con sette occhi (Zc 4:10).
Nell’età della salvezza il sole brillerà sette volte di più (Is 30:26).
Tutti = sette Prv 26:16
Tutta la storia delle religioni hanno uno stupore per il 7, dovuto alla regolarità dello scorrere del tempo in periodi di 7 giorni, seguendo le quattro fasi della luna e ad altre osservazione astronomiche.

70 
Dn 9:24 rappresenta la scadenza di tempo in cui dovrebbe effettuarsi la salvezza messianica.
Nm 11:16 settanta anziani sono scelti per aiutare Mosé.
Secondo la concezione ebraica, viveva sulla terra un totale di una settantina di nazioni, idea basata sul quadro genealogico fornito da Gen 10, dove sono enumerati 70 popoli (Dt 32:8).

Nel NT le genealogia di Gesù in Matteo (Mt 1:2-16) e Luca (Lc 4:23-38), nonostante le loro differenze, sono basate sul
numero 7: Mt: tre gruppi di 14, vale dire sei settenari. Lc: cita 77 antenati di Gesù, vale dire undici settenari, Gesù inaugura il dodicessimo, Entrambi gli evangelisti sono interessati al compimento della storia nella persona di Gesù Messia: Matteo, nella storia della salvezza d’Israele (a partire da Abramo); Luca in quella dell’umanità (a partire da Adamo).

Nelle ore, in Gv l’ora settima indica comunicazione di vita (Gv 4:52) guarendo il figlio del funzionario; in opposizione a l’ora sesta, che quella del rifiuto e condanna (Gv 19:14-16).

7 è la soma de 5 pani e 2 pesci (Mc 6:41; Gv 6:9) e indica la totalità del nutrimento posseduto dalla comunità. Nella seconda distribuzione si parla di 7 pani (Mc 8:5), indicando inoltre con questo che sono destinati a tutti i popoli.
Una persona posseduta da 7 spiriti (Mt 12:43-45) o demòni (Lc 8:2).
Seguendo l’idea dell’AT dei 70 popoli dell’umanità, in Lc i settanta discepoli (Lc 10:1) costituiscono il secondo gruppo missionario parallelo a quello dei 12 (Lc 9:1-6), rappresentato tutti i popoli della terra.
Sono 7 i discepoli presenti in Gv dopo la resurrezione (Gv 21:1-2) che rappresentano la comunità. La pesca è la missione universale. In opposizione a 12 = numero d’Israele, 7 = totalità dei popoli. Indica la comunità di Gesù non come eredità di un passato ma come apertura al futuro

L’ Otto: mondo definitivo

Il 8 è un numero specificamente cristiano, è il mondo definitivo al di là della prima creazione (il sette).
8 sono le beatitudine di Matteo (Mt 5:3-10), allude precisamente alla realizzazione sulla terra del regno di Dio.
8 giorni dopo …
Lc 9:28 in qui si verifica la trasfigurazione indica che Gesù manifesterà ai discepoli la realtà definitiva dell’Uomo, al di là dei limiti del mondo presente.
Gv 20,26 la seconda apparizione di Gesù risorto ai discepoli e indica il carattere pieno e definitivo del tempo messianico.
Completa così il carattere di novità e di principio indicato con l’espressione il primo giorno della settimana (Gv 20:19).

Il Dodici: unita del popolo eletto

Il 12 prende il suo senso simbolico dai dodici mesi, ma nell’AT non resta traccia di questa concezione.
Nell’AT e nel NT i dodici simboleggia l’unità e totalità del popolo eletto.
Gen 49; Nm 1:40-49; 13:2-15
Il punto d’origine per il numero 12 come simbolo di Israele si trova nel numero dei figli di Giacobbe, da essi derivano le 12 tribù (Gen 49:28). Tutta la storia di questo popolo si rapporta al numero 12; ad esso alludono persino le vesti sacerdotali (Es 28:21).
Il 12 come connotazione teologica: le 12 tribù rappresentano la condizione del popolo ebraico cosi come è voluta dal Dio dell’alleanza (Es 24:4; 1 Re 18:31). È simbolo della situazione ideale d’Israele.

Nel NT il 12 appare in:
Mc 3:13ss; Mt 10:1ss e Lc 6:13ss
Nel dare la lista dei discepoli, che rappresentano il nuovo Israele e che Gesù destina a una missione universale.
Gv 6:13
In Gv appare per prima volta il 12 quando sono menzionati i cesti degli avanzi raccolti dopo la distribuzione dei pani, a indicare che la distribuzione, cioè la solidarietà, deve continuare fino a saziare la fame di tutto Israele.